lunedì 4 ottobre 2021

 Raccontare un territorio.

Non è facile anche quando lo conosci a menadito, diventa difficilissimo se lo hai esplorato solo per otto giorni, ma come spesso faccio mi piace affidarmi alla narrazione tramite immagini, e tramite ciò che ho percepito.

Parlo del Portogallo, primo viaggio all'estero dopo il blackout causato dalla pandemia globale: settembre è un mese nel quale ho sempre idealizzato il Miglior Viaggio Possibile, e credo che le mie attese non siano state deluse. Non ho sofferto il caldo e nemmeno il freddo, è stato facile prenotare gli alberghi anche il giorno prima dell'arrivo, e i ristoranti hanno sempre ospitato il gruppo-composto da 5 persone.

Una menzione speciale ai ristoranti: dalla tavernaccia di quartiere per pescatori e meccanici, al wine bar, al ristorante vero e proprio, nessuno di noi ha avuto quei disturbi tipici del viaggio. Evidentemente le materie prime erano di ottima qualità e anche l'igiene della cucina era adeguata, anche se la presentazione dei piatti in alcuni casi era poco curata, ma niente ci fa.

Il viaggio non è cominciato sotto i migliori auspici: il 24 settembre i lavoratori di Alitalia hanno indetto uno sciopero generale, che ha comportato la cancellazione di tutti i voli, perciò la Tap ha creduto bene di riproteggerci con un Palermo-Roma il giorno prima. Peccato che poi è stato cancellato anche quello e siamo dovuti andare a Roma in automobile con una decisione presa senza pensarci troppo. E bene abbiamo fatto, perché non avremmo avuto altro modo di non perdere la coincidenza da Roma a Lisbona.

Arrivati a Lisbona, abbiamo subito ritirato l'auto noleggiata online (beh, stendiamo un velo pietoso sulla compagnia locale Guerin) e ci siamo diretti a Faro: le nostre intenzioni erano quelle di conoscere l'Algarve, poi spostarci a Oporto-passando per Fatima e quindi concludere il giro a Lisbona, sbarazzandoci della auto presa a noleggio.

(continua)


giovedì 23 settembre 2021

Ha ancora senso.

 Senza punto interrogativo.

Ha ancora senso, e forse ne ha ancora di più nel momento in cui il rinomato social network è diventato palcoscenico per scimme urlanti, sovranisti, bonzi da tastiera e picchiatori virtuali.

Allora, allora ricominciamo.

Per il momento, andate a guardare le mie fotografie sul website.

antoniomusottofotografie.com 

prossimamente, parleremo di nuovo dei fatti che vedo.




venerdì 5 ottobre 2018

Todo Mundo II la lettura

Volete leggerlo? mandatemi 18 euro con paypal e ve lo mando a casa con raccomandata.
Arriva in cinque giorni, in un weekend ve lo leggete. Oppure, siccome sono una trentina di racconti, vi basta per un mese.

domenica 15 aprile 2018

comincia un altro count-down

Comincia, è cominciato giovedì pomeriggio, quando ho consegnato a Toni la pendrive con i file del nuovo libro, con la foto per la copertina e le prefazioni alle due parti in cui il volume è diviso: storie umane e storie non umane. Ora bisogna pensare al roadshow, alle presentazioni.
Una sicuramente a Pozzallo, dove la Libraia "non vede l'ora". Un paio a Palermo, una sicuramente a Catania alla Mondadori. E dopo?
Se fate parte di un circolo letterario, invitate Todo Mundo II.

giovedì 5 aprile 2018

dune buggy

Viaggiavo, sulla via del ritorno. Ero su un viadotto, dalle casse dello stereo pompava forte un pezzo dei Pearl Jam, facendo vibrare i pannelli negli sportelli.
Ha squillato il telefono, era il mio capo. Ho rallentato, mentre lui parlava guardavo a sinistra il mare che scorreva sotto al viadotto.
Quello ha parlato da solo per cinque minuti buoni, ogni tanto dicevo sì o no tanto per far capire che ero vivo e non avevo interrotto la chiamata.
Poi ho visto lo svincolo, ho rallentato e messo la freccia per uscire, seguendo le curve fino al bivio al mare.
Sono passato nel sottopasso ferroviario, le piogge delle settimane precedenti lo avevano trasformato in un laghetto e un torrentello scorreva fino alla spiaggia.
Ho seguito il lungomare per un po’, poi ho chiuso la telefonata con il capo “sto entrando in galleria, ti chiamo dopo”, quello ha risposto ok, io ho pensato fanculo.
Ho parcheggiato, sono sceso dall’auto e mi sono fatto bagnare dal sole; era velato, un sole adolescente di aprile, ho buttato la giacca sul sedile e ho cominciato a camminare sul marciapiedi che era ancora invaso dalla sabbia delle mareggiate invernali.
Scrutavo il mare, le piccole onde che si spiaggiavano delicatamente con un timido rumore di risacca, un paio di gabbiani inventavano coreografie volanti, tutto sembrava quasi perfetto.
Poi è arrivata una macchina, una di quelle dune-buggy che si noleggiano nelle località turistiche, ne sono scesi due ragazzi e tre ragazze, avranno avuto venti, venticinque anni.
Pallidi, di quel colore lattescente che hanno gli anglosassoni, con capelli lunghi e arruffati: si capiva che si erano appena svegliati, e che il loro unico pensiero era rivolto alla sabbia, al mare, al sole siciliano.
Ho pensato che quel biancore sarebbe diventato presto rosso ustione, ma mi hanno prevenuto cominciando a spalmarsi reciprocamente una crema svizzera col barattolo rosso, si raccontava che la usassero per salvaguardare i capezzoli delle vacche da latte.
Forse era una minchiata partorita dalla mente deviata del creativo di turno.
Mi sono seduto sul muretto dal lato del mare, con le gambe a penzolare nel vuoto, senza particolari pensieri.
Le ragazze si sono tolte il pezzo di sopra del bikini, e ridendo hanno continuato a imbiancarsi con la protezione solare lanciando gridolini e sospiri , e i seni sono diventati più bianchi di quanto non fossero naturalmente.
Guardandomi sul muretto mi sono detto “sembri il solito guardone anziano” e stavo per andarmene.
Nel frattempo è arrivato uno scooter, il tizio che lo guidava si è tolto il casco e si è seduto vicino, aveva la barba incolta e un aspetto trasandato.
Intanto io cominciavo a sentirmi a disagio, i ragazzi in spiaggia pareva si divertissero a trasgredire, sapendo di essere osservati.
Il tizio stazzonato che si era seduto accanto a me ha detto “sono pieni di vita”.
Mi sono detto, il solito pappagallo di paese che conosce quattro parole d’ inglese e ora tenterà di portarsi in giro qualche ragazza da far vedere agli amici.
L’ho guardato con uno sguardo neutro, ma sentivo crescere dentro una specie di rimprovero da somministrare.
Invece lo scooterista ha continuato “mia moglie ha un tumore, il dottore ha detto che ha tre mesi di vita”.
Ho di nuovo girato lo sguardo verso i ragazzi che ora si erano distesi a bersi il debole sole di aprile, poi mi sono alzato e sono tornato verso la macchina.
Ho premuto il pulsante di messa in moto, l’abitacolo si è subito riempito della pressione sonora dei Pearl Jam.

mercoledì 28 marzo 2018